A quattro anni dall’ultimo album, Florence Welch parla dell’irresistibile “mostro della performance”, del conflitto tra carriera e maternità e del suo disco che suona come ‘Nick Cave al club’
L’altra notte, con una brezza primaverile insolitamente forte, il citofono di Florence Welch era guasto. Continuava a suonare nel cuore della notte, come se fosse premuto da una mano fantasma. Il sonno è sempre stato un tema sensibile (la sua manager doveva svegliarla molto delicatamente in tour), così è uscita e ha strappato tutto il pezzo dal muro. Da bambina – anzi, fino ai 26 anni, con all’attivo già due album in cima alle classifiche e un concerto con i Rolling Stones – Welch dormiva su un materasso sul pavimento del salotto di sua madre, con i libri sparsi intorno alla testa e gli ultimi dipinti della nonna a formare una testiera di fortuna, che regolarmente le cadevano addosso.
La sua prima stanza da letto era stata decorata con découpage fino al soffitto – un tentativo di esternare il contenuto della sua mente: “Avrò avuto 10 anni. Alcune ragazze a scuola erano cattive con me e ricordo di starmene seduta a casa a pensare” – passa a un tono di voce melodrammatico – “se solo vedessero questa stanza capirebbero e mi amerebbero!”
Dance Fever è il primo album di Welch dopo quattro anni. Come Ed Sheeran o Adele, è sopravvissuta a quel periodo buio alla fine dei 2000 quando l’industria musicale decise che nessuno stava più comprando dischi. La sua scalata è stata ripida e sorprendente: a 23 anni il suo primo album Lungs la lanciò in un tour mondiale da ben 18 leg, che culminò nell’apertura dei concerti degli U2. I suoi grandi show e la sua grande voce la fecero conoscere subito ma il suo armamentario artistico è sempre stato parte del pacchetto: un book club con i fan (ancora attivo) e, un paio d’anni fa, un libro di poesie.
Oggi siede in una piccola stanza nel giardino di una galleria d’arte a Camberwell, vicino a dove è cresciuta e ha frequentato il college per un po’. Quattro o cinque grandi anelli risuonano sulle sue mani espressive: i suoi capelli sono raccolti in una coda alta che in alcuni momenti scioglie con un rapido movimento delle dita, a sottolineare un momento divertente o uno drammatico, per poi raccoglierli di nuovo.
I genitori di Welch divorziarono quando aveva 13 anni e quando sua madre, una stimata professoressa di storia dell’arte, si sposò col vicino della porta accanto, in un batter d’occhio acquistò due nuovi fratelli e divenne ancora più protettiva del suo spazio personale (il suo fratellino dormiva nell’armadio della biancheria). Ma l’ultima moglie del patrigno aveva lasciato un lampadario Arts and Crafts e un enorme caminetto in stile gotico. Entrambi contribuirono a formare quell’estetica che non l’ha mai lasciata – 13 anni dopo il suo primo disco ancora si ricorda del quadro di John Singer Sargent Ellen Terry o della Lady of Shalott in un abito vintage di Laura Ashley.
Di persona, Welch non ha l’aria imperiosa che ha sul palco: sembra senza filtri e sprigiona un’energia tesa ma spiritosa. Nel video del suo ultimo singolo, Free, impersona sé stessa mentre Bill Nighy ha un cameo nei panni della sua ansia. Le interviste sono faticose dice – di solito prende un giorno libero dopo per rilassarsi. Più faticose che stare due ore su un palco? “Penso di sì perché sono scritte e il controllo lo ha il giornalista.”
Naturalmente stare sul palco è stata una questione spinosa fino a poco tempo fa – quest’estate andrà in tour per la prima volta dopo tre anni. Tutti sanno che i musicisti hanno attraversato un periodo difficile con la pandemia ma Welch, con la sua insolita franchezza, è la persona giusta a cui chiederlo. Quali prospettive pensava realmente di avere?
“Mia mamma mi diceva: ‘Troverai qualcos’altro da fare'” dice. “Sembrava incredibilmente definitivo. Non so se è perché i musicisti e i perfomer sono inclini al dramma ma la verità è che, prima dei vaccini, nessuno sapeva se i concerti sarebbero mai tornati. Forse dopo cinque, sette anni. Penso spesso che siamo tutti tornati al mondo con un non elaborato disturbo da stress post-traumatico.”
Welch disse a sua madre: “Io non voglio vivere in un mondo in cui non posso fare la cosa per cui sono nata. La cosa che mi dà un significato, che dà un senso al casino nella mia testa – che è una specie di spaventoso incubo la maggior parte del tempo.” Sulla carta sembra un po’ esagerato ma di persona sembra quasi dispiaciuta.
Ultimamente ha riflettuto su quello che lei chiama “il mostro della performance” – sul modo in cui si risveglia ogni due anni e la inghiottisce in un tour mondiale. Quando durante la pandemia sparì si sentiva “a lutto”. A marzo 2020 era a New York a scrivere canzoni per Dance Fever, con Jack Antonoff, conosciuto per il suo lavoro con Lorde e Lana Del Rey. Tornata a Londra, in lockdown, ha fatto trasferire il suo ragazzo da lei e iniziato a scrivere “brevi poesie tristi”, che sono poi diventate canzoni come My Love (“my arms emptied, the skies emptied, the buildings emptied”). Non potendo ballare sul palco, lo faceva in cucina (“In realtà sono molto brava a ballare in calzini”). Eppure Dance Fever, che alla fine è stato prodotto in UK con Dave Bayley dei Glass Animals, non è un album dance. Può avere BPM alti ma tutto quello che ci ha messo sopra è dark, stridente, lugubre: lo ha definito “Nick Cave al club”.
Rimase affascinata dalla “coreomania”, un avvenimento storico che risale al 1374 sotto il Sacro Romano Impero, per cui gruppi di uomini, donne e bambini danzavano freneticamente, fino allo sfinimento e talvolta alla morte. C’è una scena simile in Midsommar di Ari Aster, uno dei film horror che guardava durante il lockdown. Nel video di Heaven Is Here, uno dei primi singoli di Dance Fever, diretto da Autumn de Wilde, Welch e sette ballerine in abiti vittoriani trascinano i loro corpi come mucchi di ossa. Il video fu filmato a Kiev qualche mese prima dello scoppio della guerra. Due delle ballerine, Nastia e Maryne, ora sono rifugiate – quando abbiamo parlato il mese scorso, Welch aveva rintracciato Nastia ad Amsterdam ma stava ancora cercando Maryne.
“Avevamo superato la pandemia, erano tutti così contenti di lavorare di nuovo e la sensazione generale era di libertà, di festa” ricorda. “Loro non immaginavano cosa ci fosse dietro l’angolo – che non avrebbe in nessun modo riavvicinato le persone, che stavamo tornando a galla per essere inghiottiti da un’altra tragedia. Ho detto a un’amica ucraina: ‘Mi sento così inutile.’ Lei ha risposto: ‘Non sei inutile, ce la stiamo facendo. Non sono mai stata più triste e più orgogliosa.'”
Florence Welch ha fatto un percorso impressionante, che copre tutti i momenti chiave dell’era digitale del pop. Nel 2009 fu descritta come l’alternativa boho alle discole Kate Nash e Lily Allen. Il suo apparente privilegio di classe inizialmente le portò qualche critica e il suo successo fu messo in discussione quando vinse il Brits Critics’ Choice Award dopo soli due singoli. Quando seppe di aver vinto ebbe un attacco di panico in un bar della catena Caffè Nero, come raccontò in seguito a Pete Paphides: “Perché? Perché non avevo fatto niente e stavo ricevendo un premio per quello.” Welch è arrivata all’inizio dell’esplosione digitale, un’era in cui i nuovi artisti venivano acclamati prima ancora di saper cantare dal vivo o persino prima di avere un disco da promuovere (spesso accadeva che quando poi l’album usciva nessuno era più interessato).
Della sua improvvisa ascesa dice: “Anche se ne sono grata, sarebbe stato bello avere un po’ più di tempo per trovare la mia strada. Ceremonials parla di qualcuno che è così tanto sotto pressione da voler sprofondare negli abissi.”
Mentre questi dibattiti interni al mondo musicale andavano avanti, anche il significato di Welch lo fece. Nel 2011, all’epoca delle controversie sui video di Rihanna, fu osannata per i suoi abiti accollati. “I genitori preoccupati che le loro figlie abbiano pochi modelli femminili oltre alle impertinenti Rihanna dovrebbero essere contenti che Florence sia tornata” scrisse un giornalista.
Ed eccola ancora qui. Fin dall’inizio, Welch si è saggiamente concentrata su grandi show. Ha aperto i concerti degli U2 durante il suo primo tour. Ma quando le chiedo cosa ha imparato dall’esibirsi coi Rolling Stones alla O2 Arena nel novembre 2012, arrossisce inaspettatamente.
“Pensavo di conoscere il testo di Gimme Shelter“, dice, “ma durante le prove mi sono resa conto che non sapevo le parole esatte… pensai ‘Sono i Rolling Stones, è una rock band, improvviseranno.’ Poi ho capito che Mick Jagger non improvvisa proprio niente.”
Jagger ha rimarcato il fatto che Welch non sapesse il testo della canzone che era stata invitata a cantare davanti a 20.000 persone. “È rape, murder,” la corresse quando lei scoppiò a piangere. “Ricordo di essere corsa in bagno. Ecco cosa mi ha insegnato Mick Jagger: impara i tuoi c**** di testi”.
Sente ancora qualche traccia delle sue vecchie ansie. “È la perdita dell’anonimato?” si chiede. “L’aver perduto chi sarei potuta essere se non fossi diventata famosa? La perdita di una persona riservata, di qualcuno che cammina per strada senza essere riconosciuto?”
Riporterebbe indietro quell’anonimato?
“Chi sto prendendo in giro? Sono un’esibizionista!”
“Per qualcuno che beveva così tanto” osserva “era chiaro fin dall’inizio che non faceva per me. Anche senza l’alcol e le sbronze, sono una persona molto ansiosa con molti alti e bassi. Come facevo?” È sobria dal 2014; nei momenti più bui non si presentava in studio oppure, quando lo faceva, passava le giornate in hangover “strappando le canzoni fuori di me. Ero così sbronza che lavorare era una specie di agonia.”
Beveva per esibirsi – e quando il tour finiva passava da un’esperienza all’altra, risvegliandosi in posti strani e buttando via intere giornate per un unico infinito e terrificante afterparty.
Nel 2018, nel testo della canzone Hunger, Welch scrisse di un suo disturbo alimentare (“At 17 I started to starve myself”). Aveva riempito la sua vita con l’ansia per il cibo, con relazioni caotiche e con l’alcol – “e ora ho 35 anni,” dice “le cose sono relativamente stabili e tutto ciò che mi inventavo per distrarmi da me stessa sono finite perché le ho identificate. Non funzionano più; sono troppo stanca per relazioni caotiche, non posso! Non ho tempo per persone che non mi rispondono ai messaggi. Non è più una droga come in passato”.
Invece dice “essere nel flusso di creazione di una canzone è uno dei miei posti preferiti. Ed è migliorato tantissimo da quando sono sobria: non è vero che il caos coincide con la creatività.”
Senza il vecchio sostegno di uomini malvagi e dell’alcol, Welch ha dovuto affrontare vecchi complessi psicologici. “All the things that I ran from, I now bring as close to me as I can” canta in Prayer Factory. Allora quali sono le cose da cui scappava? “È noioso” dice mentre scioglie i capelli: “Voglio essere una di quelle che dice: ‘Non si tratta della mia infanzia! Non si tratta di mia madre!'”
Nei capitoli precedenti della storia di Welch, Evelyn Welch, che presto diventerà la prima vice-rettore dell’Università di Bristol, ha rappresentato una critica gentile. Una volta rispose “che cervello sprecato” quando sua figlia le disse di ricordare ogni singolo outfit che aveva indossato, e ha sempre approcciato la carriera di Florence con un’attitudine da “Non voglio parlare della tua musica, mi interessa di te”.
Chiedo a Welch se senta qualche affinità creativa con la professoressa di studi rinascimentali, specializzata in economia della moda moderna, e ne dà una lettura sorprendente. “No, lei vive nel suo mondo” risponde. “Vive quasi completamente nel suo mondo, all’università. Stava sempre a scrivere libri quando eravamo piccoli ed è molto contenta del suo lavoro. Mia sorella voleva calore, una madre presente e tradizionale, ma ammiro chi riesce a vivere nel suo mondo perché io faccio lo stesso. Cosa è che un bene e anche un male perché sono molto brava ad essere amata da lontano – penso che la dica lunga sull’essere famosi…”
Anche se adesso descrive sua madre come “abbastanza orgogliosa di lei”, vedere una pop star analizzare il proprio bisogno di adulazione e ammettere di non avere il minimo problema nel farsi amare da lontano è confortante. Essere amati da vicino, al contrario “è come essere schiacciati” canta Welch in Girls Against God. Ora ha una relazione stabile con un uomo molto “materno” che non nomina, e questa è nuova sfida. “Continuo a pensare che ciò che voglio davvero è essere in una stanza, da sola, con i miei sogni e fantasie e la mia casa/installazione artistica. Ma poi l’orologio va avanti di un paio d’ore e ti rendi conto di essere da sola e questa cosa che pensi abbia funzionato per te per così tanto tempo non ti sostiene più.”
Quando partì per New York prima della pandemia, aveva 33 anni: dice che la sua intenzione era di “passare un ultimo anno all’avventura, uno solo prima di fare le cose sul serio”.
Sembra esserci, nel fulcro di Dance Fever, un desiderio di parlare di maternità in un modo nuovo: “Essere una performer” scrive in un comunicato stampa “ma anche volere una famiglia, potrebbe non essere così semplice come per i miei colleghi uomini.” Welch vuole guardare più profondamente al conflitto nelle performer donne quando si parla della convinzione che vogliono avere dei figli, che scompariranno per cinque anni o ricostruiranno la carriera con un’immagine completamente diversa”. E se volessi bambini ma non volessi neanche fermarmi? Sei autorizzata a dirlo?
“Penso che siamo ancora all’inizio di questa nuova fase, con le donne che non si ritirano più” dice. “Siamo all’inizio di una conversazione. Ci sono molte più artiste lì fuori. C’è più spazio per noi. All’inizio sembrava che fossi da sola.”
È abbastanza onesta e sta facendo i calcoli. Ha 35 anni. L’album e il tour mondiale prendono due anni e ne ha uno imminente. Il gap tra i 35 e i 40 anni improvvisamente si è ridotto. Il tour è un impegno fisico, così come la gravidanza. Il desiderio di un figlio si insinua, scherza “come nel body horror”, facendo scivolare le sue lunghe dita dalla vita verso l’alto.
È perplessa sulla generazione dei suoi genitori, che dicono di avercela fatta e facevano dormire i bambini in ceste sotto i tavoli dei pub. “Le persone arrivano e dicono: ‘Voglio fare un figlio ma non voglio che la mia vita cambi.’ È un totale controsenso. Credo di non avere nessuna illusione su ciò che implica.”
Ha detto al suo ragazzo che avrebbe voluto fosse lui quello con l’utero. Lei sarebbe “un gran padre conservatore degli anni ’50” dice “Amo dare, amo esserci, far divertire ed essere coccolata”. Mentre fare musica è “una febbre”, il desiderio di maternità è “una persecuzione” – un’invadente sensazione di volere qualcosa di diverso e che le vecchie strade non funzionino più.
“Il paradosso è che è arrivato tutto insieme in un momento in cui finalmente sapevo cosa stavo facendo” dice. “Ho capito come essere responsabile di me stessa e del mio lavoro e dimostrarlo. Sono finalmente capace di controllarlo in modi mai avuti prima ma c’è questa subdola sensazione di essere irresponsabile per qualcos’altro, per la miseria…”
Il desiderio di sistemarsi nel focolare domestico – questo nuovo “inquietante body horror” – sembra ancora senza senso. Se non lo fa, se “compie quel sacrificio”, allora deve essere la migliore, mi dice. Ma lo vuole, e questo è il problema.
Una delle cose che senti più spesso di Welch, e in genere da parte di uomini di mezza età, è “a mia figlia dodicenne piace”. Quella prima ondata di dodicenne vanno verso i 25 ora e Welch non padroneggia TikTok come Madonna quindi bisogna vedere se riuscirà a far presa su una nuova generazione di piccoli fan. Intanto ci sono altri cambiamenti nel suo pubblico. Nel 2015 circa iniziò a fare esperimenti indossando tailleur sul palco – “per osmosi, vedendo performer maschili, presi da loro la presenza scenica” – e notò che da allora iniziò ad ottenere slot da headliner, incluso il festival di Glastonbury nel 2015. “Pensavo: ‘Sono riuscita a entrare perché evoco qualcosa di familiare? Non era intenzionale ma era curioso che fosse cambiato quando diventai una figura mascolina.”
Welch non si è mai risparmiata le delusioni delle pop e rock star e Dance Fever ne è pieno. Si colloca dopo i Mick Jagger e gli Iggy Pop del mondo: “You said that rock’n’roll is dead but is that just because it has not been resurrected in your image? Like if Jesus came back but in a beautiful dress.” Si considera una rock star?
“Pop star e rock star, non so cosa significano davvero adesso” dice. “Sinceramente alcune delle persone considerate ‘pop’ star sono le più rock’n’roll che conosca.”
Come chi?
“Come Rosalía e Charli XCX, e Lizzo – incarnano lo spirito del rock’n’roll. Stanno facendo esattamento ciò che vogliono, con una felice sicurezza di sé, una certa attitude…”
Si è sempre vergognata, dice, della sua “mancanza di genere”. “Sentivo che se avessi avuto un genere e gli fossi stata fedele, allora mi avrebbero presa sul serio.” Ma gli uomini “stanno migliorando” dice – nel senso, stanno migliorando perché piace loro Florence + the Machine. “Molti più uomini sembrano prenderlo sul serio rispetto a prima. Non so se è solo longevità. Perché mi sono guardata intorno e sembra che le cose stiano cambiando per me. Ci sono state diverse fasi ma in generale penso che chi sono e cosa mi piace non è davvero cambiato. Ho flirtato col minimalismo in qualche occasione ma non ha mai funzionato! Le persone finalmente stanno dicendo: ‘Oh, è vero! Lei è proprio così.'”
Non molto tempo dopo l’esordio di Florence + the Machine, ci fu un altro dibattito nell’industria musicale, alimentato da internet, su quanto tu fossi vera o fake come artista – quando le persone trovavano delle artiste simili su YouTube. Ma non c’è nessuna Florence Welch nascosta e quello che vedi prima di te, in quell’abito vintage di Laura Ashley, affonda le sue radici molto tempo fa, in una caminetto gotico, découpage sulle pareti e i quadri della nonna riversati sulla testa. Decora ancora le camere d’hotel con scialli e candele quando è in tour.
Un po’ di tempo fa ha raccontato degli eventi che hanno segnato gli anni della sua formazione, dopo il divorzio dei genitori, rivelando che sua nonna si suicidò quando aveva 14 anni. Oggi mi dice: “Si è lanciata dal suo appartamento a New York. Penso sia rimasta seduta per un po’ sul davanzale. Era maniaco-depressiva, leggeva tutta la notte e dormiva di giorno, andava avanti così ciclicamente.”
Welch pensa che le ombre siano passate dalla nonna alla madre alla figlia: “Penso che il suo dolore sia riecheggiato in mia madre e poi in me. Mia madre ci ha messo una pietra sopra, in modo impressionante. Non ho ereditato questa cosa, come sai; con me viene tutto fuori.”
Ha iniziato ad essere più diffidente di quell’introspezione che ha sempre feticizzato. “Il comfort di starmene da sola con i miei libri, le mie cose e me stessa nel mio mondo – non funziona più. Le persone sono belle. Lasciarle entrare è bello”.
Intervista originale di Kate Mossman pubblicata su The Observer il 15 maggio 2022.