La vera storia di “Morning Elvis”

La canzone racconta della sbronza epica di Florence Welch dopo l’esibizione al Jazz Fest di New Orleans nel 2012

Morning Elvis”, la traccia finale dell’ultimo disco di Florence + the Machine “Dance Fever” è un racconto confessionale di una terribile sbronza iniziata a New Orleans e conclusasi a Memphis. Non è un racconto di fantasia.

Sulla scia di “Royal Orleans” dei Led Zeppelin, che racconta ironicamente la storia del bassista John Paul Jones che sviene in un hotel del French Quarter e dà fuoco al letto in compagnia di una drag queen, “Morning Elvis” è una rielaborazione letterale di una serata a New Orleans finita male. La canzone è sostanzialmente il diario di un after party dopo l’esibizione di Florence al New Orleans Jazz & Heritage Festival nel 2012.

Welch, ora 35enne, è in una posizione completamente diversa rispetto a 10 anni fa; è sobria dal 2014. Ma prima di ciò, come ha recentemente raccontato al New York Times, pensava “che il modo di aggrapparsi alle proprie radici rock ’n’ roll fosse di essere la persona più ubriaca nella stanza.”

Il suo amico C.C. Adcock, il chitarrista del Louisiana che occasionalmente orbita nella scena rock, fomentò quella celebre nottata raccontata in “Morning Elvis”. “Fu una bevuta che ci sfuggì un po’ di mano” ricorda Adcock. “Ero l’anima della festa. Qualsiasi cosa sarebbe potuta accadere, accadde.”

Pinte di gin e Billy Squier

Giovedì 3 maggio 2012, Florence + the Machine si esibirono sul Gentilly Stage del Jazz Fest nell’ambito del tour di Ceremonials, quello che consacrò la band a livello globale e la Welch come una delle più potenti voci rock femminili in circolazione.

L’estenuante itinerario primaverile del tour prevedeva 20 date europee nel giro di un mese, seguite da 17 date in America tra metà aprile e metà maggio. Il Jazz Fest era il terzo di quattro show di fila, dopo Dallas e Houston. Il giorno dopo il Jazz Fest la band doveva esibirsi al Beale Street Music Festival a Memphis. Ma prima Florence voleva divertirsi un po’.

Dopo il termine del suo set alle 19:00 si diresse al d.b.a., il locale dove Adcock stava tenendo banco. Lui aveva collaborato con Florence + the Machine per la cover di “Not Fade Away”, dall’album tributo del 2011 “Rave On Buddy Holly.” Adcock ci andava giù pesante durante il Jazz Fest. Quel giovedì in particolare lui e alcuni amici de Lafayette organizzarono una serata nel parcheggio sul retro del d.b.a. prima che il suo gruppo, la Lil Band O’ Gold, si esibisse. Oltre alla Welch c’erano altri inglesi, come l’ereditiera della birra Rebecca “Bex” Guinness, l’attore Patrick Kennedy e la designer di scarpe Zoe Lee.

“Gli inglesi hanno una storia d’amore con New Orleans,” disse Adcock, “una relazione simbiotica nella misura in cui loro amano far festa, prendere in giro la gente, bere e andare avanti così”.

Alcuni degli ospiti di Adcock capirono “ballo dell’aragosta” e non “zuppa di aragosta” e si presentarono al d.b.a. travestiti. In ogni caso si iniziò subito a bere seriamente. Ben presto “tutti erano su di giri”, racconta. Florence chiese al barista di riempire una pinta di ghiaccio e gin”, ricorda il proprietario del d.b.a. Tom Thayer. “Mandò giù pinte di gin tutta la notte” disse. “E c’era molto altro. Era una crew decisamente turbolenta. Se la spassavano proprio”.

L’entusiasmo era nell’aria quando una parata di guest star salì sul palco con i Lil Band O’ Gold. Tra loro Florence Welch, il rocker anni ’80 Billy “The Stroke” Squier, il cantautore irlandese Glen Hansard e Ani DiFranco, l’icona folk-punk che ora vive a New Orleans.

Thayer offrì a Welch di usare l’appartamento del d.b.a. al piano di sopra per avere un po’ di privacy. Il gruppo di festaioli inglese si appropriò subito dell’appartamento e lo trasformarono nel Party Central. Qualcuno si riversò sull’anta di un armadio. “Ci furono un sacco di bravate” racconta Thayer. “Erano decisamente fuori controllo. Sembrava che volessero proprio sballarsi”. All’alba li cacciò dall’appartamento riportandoli nel club. “Dissi loro ‘Ragazzi, dovete andarvene. Ne ho abbastanza’. Tornò a casa dopo aver detto al suo staff: “Potete buttare fuori questa gente quando volete. Di certo si sono divertiti abbastanza.”

Florence voleva di più.

Florence Welch con il chitarrista C.C. Adcock nell’appartamento del locale d.b.a. a New Orleans il 3 maggio 2012. Foto di Tom Thayer.

Il bus parte senza di lei

I membri dei Florence + the Machine dovevano partire per Memphis a bordo del tour bus tra mezzanotte e le due. Ma la cantante si stava divertendo troppo per andarsene. Così Amy Davidson, la tour manager di allora, prese dei biglietti per un volo per Memphis il giorno dopo, per lei, Florence e la sua assistente. “Prima di mandare via il bus mi assicurai di aver comprato i biglietti che ci avrebbero portate a Memphis in tempo” ricorda. “Non ricordo di essere stata preoccupata”.

La regola numero 1 in tour è “non perdersi l’artista” dice Adcock. Ma a un certo punto il resto della band partì senza di lei.

In “Morning Elvis” Welch ricorda la scena:

“I told the band to leave without me
I’ll get the next flight
And I’ll see you all with Elvis
If I don’t survive the night.”

Lei, Adcock e il resto del gruppo ora erano liberi di continuare. Dopo esser stati allontanati dal d.b.a., si spostarono al Mimi’s nel Marigny, il famoso bar all’angolo tra Royal Street e Franklin Avenue. Il sole iniziava a sorgere venerdì mattina ma loro non si fermavano. Quando fu chiesto loro di uscire, si spostarono al Big Daddy’s (da non confondere con l’omonimo strip club su Bourbon Street). Col sole ormai alto nel cielo, il gruppo si impossessò del juke box e ballarono le canzoni dei BeeGees e di Billy Squier. Alla fine, mentre gli abitanti di New Orleans uscivano per andare in ufficio e a scuola, la festa volse al termine. Adcock e un paio di amici de Lafayette accompagnarono Florence nella sua suite all’International House Hotel.

Tutti crollarono. Ma non per molto.

Troppo sbronza per visitare Graceland

Nel racconto di Adcock, arrivarono degli uomini vestiti di nero e scortarono Florence su un elicottero per Memphis. La realtà, raccolta la Davidson, era leggermente meno drammatica: “Non c’era nessun elicottero e nessun uomo vestito di nero. C’era una donna in nero, probabilmente – io”.

Davidson tirò giù la cantante dal letto e le mise una t-shirt nera e dei jeans che aveva preso dalla sua valigia prima che il tour bus partisse la notte prima. “Mi disse, ‘Mi hai vestita come te,’” ricorda la Davidson, ridendo. La fece uscire e si diressero verso l’aeroporto. “Non è stata proprio la più semplice uscita da un hotel” dice, “ma neanche la più difficile.” Arrivarono a Memphis intorno alle 13 e fecero check-in in hotel. Florence avrebbe dovuto fare una visita privata di Graceland. Non accadde, come canta in “Morning Elvis”.

“When they dressed me and they put me on a plane to Memphis
Well, I never got to see Elvis
I just sweated it out in a hotel room
But I think the king would’ve understood
Why I never made it to Graceland.”

Il testo descrive poi la sua epica sbronza:

“Bathroom towels were cool against my head
I pressed my forehead to the floor
And prayed for a trapdoor
I’ve been here many times before
But I’ve never made it to Graceland.”

Ma riuscì ad essere al Beale Street Music Festival giusto in tempo per lo show alle 21:15, poco meno di 12 ore dopo la sua notte brava a New Orleans.

“La parte della storia davvero rock ‘n’ roll è che non deluse la sua band e i suoi fan,” disse Adcock. “Ed è sopravvissuta per cantarla”.

‘Sono felice che siano tutti sopravvissuti’

Quando ha ascoltato per la prima volta “Morning Elvis”, Adcock ha avuto reazioni contrastanti. Ha “avuto i brividi” sul verso in cui Florence dice di aver premuto la testa contro il pavimento del bagno: “Non vorresti mai sapere che un tuo amico passa quel genere di nottate”. Dieci anni fa, Florence “stava ancora imparando come gestire il successo”, suppone. “Per mantenere quel livello di talento, quei risultati e quel lavoro così come a lei piace, a un certo punto devi crescere e dire a te stesso ‘Non dovrei farlo più.’ Per questo è stata così tenace e ha avuto successo”.

Secondo Adcock “Morning Elvis“, in cui Florence gioisce per essere “salva” è “come guardarsi indietro e ricordare i vecchi tempi.” “È parte del processo per cui scendi a patti con quelle cose stupide e divertenti che facciamo come esseri umani. Guardarle in faccia per assicurarci di non farlo più.”

Per quanto le riguarda, Davidson apprezza il riconoscimento anonimo del suo ruolo quella notte.

“Lo adoro. La tour manager sta dietro le quinte e quando mi hanno mandato la canzone sono scoppiata a ridere. Quando ho sentito il verso ‘When they dressed me and they put me on a plane to Memphis’ ho detto: ‘Sono stata io!’ È un bel ricordo della mia carriera. E amavo lavorare con lei. È una bellissima persona”.

Adcock, che è ancora in contatto con Florence, apprezza l’arte che emerge dai suoi vecchi misfatti. Invece di cantare ‘And if I make it to the morning/I should’ve come with a warning’, pensa che avrebbe potuto tranquillamente dire ‘New Orleans, it should come with a warning.’

“Quella notte doveva andare così. Sono contento che siano tutti sopravvissuti e che lei possa ricordarlo con la scintilla negli occhi”.

Articolo originale di Keith Spera pubblicato su Nola.com il 15 giugno 2022

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