L’appiccatrice di incendi

Con il suo nuovo album, Dance Fever, la frontwoman Florence Welch continua a brillare.

In un’epoca che favorisce – anzi, spesso richiede – il costante reinventarsi delle pop star, con Florence Welch, frontwoman dei Florence + The Machine, c’è una confidenza rassicurante. Eccola qui, in un sabato a pranzo circa 15 anni dopo essere atterrata nella scena musicale, sempre come se fosse appena uscita da un quadro rinascimentale: boccoli fluenti rosso Tiziano, indomiti a incorniciare il suo viso di porcellana scolpito e struccato, un lungo abito floreale di The Vampire’s Wife abbinato al grigio-blu dei suoi occhi.
Questo non significa che non ci sia stata un’evoluzione, artisticamente e personalmente. Forse è a causa dell’emotività cruda della sua arte o della sua adorazione per la teatralità, ma non avevo mai realizzato quanto questa 35enne fosse simpatica. Ad esempio, non mi aspettavo che la risposta a cosa l’avesse tenuta occupata durante il lockdown fosse “passare l’aspirapolvere” (dice di essere diventata ossessionata da un mini Dyson). “Florence + The Machine era Florence con un fott*** aspirapolvere” dice.

La sua risata – continua e contagiosa, dalle risatine convulse a quelle più prolungate e rumorose – rimbalza tra le pareti della sala privata di Luca, acclamato ristorante nel quartiere Clerkenwell a Londra, gestito da suo cognato Daniel. Lui è qui oggi, a offrirci parmigiano fritto, baccalà mantecato, capesante di Orkney e pasta – carbonara per Florence e ravioli per me. Di fatto, è un affare di famiglia: la sorella di Florence, Grace, è qui per vedere degli amici, e viene a salutarci con il suo neonato e la sua vivace bambina di 5 anni. Welch stravede per sua nipote. “È come me quando bevevo,” fa notare “divertente, sì, ma vuole distruggere tutto e forse rovinarti la vita”.

Foto: Autumn de Wilde. Styling: Amanda Harlech. Hair stylist: Odile Gilbert. Make up: Sarah Reygate. Set design: Stella Fox Design. Production: Image Partnership.

Questo senso dell’humour, pungente e autoironico, scorre in Dance Fever, che vede Welch fare ritorno agli inni da stadio propri degli inizi della sua carriera. Dopo il successo del suo primo disco, Lungs, tutti gli album di Florence + The Machine (questo sarà il quinto) hanno venduto milioni di copie. Hanno calcato i palchi dei festival più importanti al mondo, sono stati nominati per sei Grammy Awards, e Welch ha cantato con chiunque – da Drake ai Rolling Stones. “Lungs ma con maggiore consapevolezza” è il modo in cui descrive il nuovo album. “Mi sto rivolgendo alla mia stessa creazione artistica” dice. “Molta di questa non è altro che interrogarsi sulla mia dedizione alla solitudine e sul mio stesso senso di figura tragica”. Parte la risata.

Prendiamo il verso iniziale di Choreomania (che sa molto di Kate Bush e il cui titolo si riferisce alla mania collettiva del ballo che scoppiò in Europa nel Medioevo): “And I’m freaking out in the middle of the street/with the complete convinction of someone who has never actually had anything really bad happen to them”. Oppure il verso della lo-fi elettronica Free: “Sometimes I wonder if I should be medicated/if I would be better just lightly sedated” . “Sento che, da artista donna, si passa molto tempo a urlare nel vuoto per far sì che le persone ti prendano seriamente, in un modo che gli artisti uomini non devono fare” dice Welch. Era “così stanca di provare a dimostrare il mio valore a persone che non lo capiranno mai”. Così ha smesso. E “questo mi ha liberata”.

La fotografa e regista Autumn de Wilde, che è dietro l’artwork dell’album e i video, è stata fondamentale nel creare questo nuovo mondo libero di Welch. “È un genio elettrizzante” dice la de Wilde di Welch. “Ho iniziato a capire che l’album che stava scrivendo era molto onesto, crudo e moderno, ma al tempo stesso ricco di immaginario spirituale. Volevo dar vita a una sorta di portale visivo verso una favola d’altri tempi”.

La pandemia era imminente quando Welch iniziò a lavorare col produttore Jack Antonoff a New York, dopo aver appena finito un tour estenuante per promuovere High As Hope. “È quasi come un ciclo di dipendenza” dice del suo bisogno di registrare continuamente. “Fai presto a dimenticare la sofferenza”. Inoltre, aveva 33 anni (il suo “anno della resurrezione” come lo chiama lei) e sentiva al tempo stesso di “star finalmente crescendo come performer” e di essere sempre più consapevole di quel troppo familiare “panico assordante che il tuo momento di metter su famiglia sia improvvisamente…” schiocca le dita come una maga. “Avevo questo impulso dentro e mi dicevo che se queste canzoni volevano venir fuori dovevo farlo velocemente perché ho altri desideri…” È il tira e molla di questi “altri desideri” – vale a dire la maternità e l’impatto che un figlio potrebbe avere sulla carriera, sul corpo, sulla mente – che King, la prima traccia dell’album, esplora in modo molto toccante. Si può già immaginare il ritornello, “I am no mother, I am no bride, I am king” urlato da migliaia di donne ai festival quest’estate. “Il nodo cruciale della canzone è che sei combattuta tra le due cose” dice. “La cosa di cui sono sempre stata sicura è il mio lavoro ma inizio a sentire questo cambiamento delle mie priorità, questo senso di…” abbassa la voce fino a sussurrare “forse voglio qualcosa di diverso”. Mi chiedo cosa sia a farle sentire che non può avere entrambe le cose – la maternità e la carriera. Fa una pausa. “Penso di avere paura. Sembra che la cosa pià coraggiosa che esista sia avere dei figli. È la fedeltà per eccellenza, e lasciar andare il controllo. Avere un figlio e lasciar entrare una tale quantità di amore… ho passato tutta la vita a cercare di scappare da questi sentimenti così grandi. Penso di aver avuto un’innaturale immaturità emotiva per anni a causa della mia dipendenza e dei miei disturbi alimentari”. Ammette di avere “una relazione molto complicata” col suo corpo. Dopo anni finalmente è suo agio ma l’idea dei cambiamenti che la maternità comporterebbe la terrorizza.

Welch è sobria da otto anni ma il lockdown è stato duro. “Quando si è sobri si vive una sorta di realtà senza filtri ogni giorno. Il tuo cervello non fa mai una pausa. “Empatizzo tantissimo con chi ha avuto una ricaduta in questi due anni perché è stato probabilmente il momento in cui ci sono andata più vicina anche io”. Dice che è stato “un miracolo” non essere ricaduta nelle vecchie abitudini alimentari. “Ci sono stati momenti in cui mi chiedevo ‘Dovrei ridurre lo zucchero? Dovrei disintossicarmi? E quello per me è un terreno scivoloso. L’anoressia ti dà un senso di sicurezza, perché pensi ‘Posso controllarlo’. Per fortuna ho accanto persone con cui posso parlare e questa è una delle cose più preziose per chiunque – continuare a parlarne. E non bisogna vergognarsi se questi pensieri continuano ad affiorare”.

Ha trascorso questi due anni a casa, nel sud di Londra, con il suo partner, di cui è restia a parlare – l’unico momento della nostra conversazione in cui tace. Di recente dice di aver trovato una rivista a casa di sua sorella Grace “di tipo cinque anni fa, con un fotomontaggio di tutti quelli con cui sono uscita”. Ha rivangato “un sacco di brutte esperienze (con i media) di quando ero più giovane” ride mestamente. “Quando entri nei 30 anni si interessano molto meno a quelli con cui esci”. Ora ha realizzato che “non devi uscire con brutte persone per scrivere belle canzoni”. Infatti non ha più “l’energia di essere sotto un grande stress emotivo e lavorare”. Questo è in parte il motivo per cui dopo essere rientrata in UK (Free è stata paradossalmente l’ultima canzone che lei e Antonoff hanno scritto prima della pandemia) non ha scritto nulla per sei mesi. Senza i concerti si sentiva persa. “Gli show sono sempre stati il mio senso della spiritualità” dice. “Nella mia quotidianità sono presa dal lottare con i miei pensieri e la mia ansia”. Da qui l’aspirapolvere e passare le giornate in vestiti comodi (“Non brandisco spade infiammate in casa” per chi se lo stesse chiedendo) e per la prima volta si è appassionata ai film horror: Shining, tutti i Suspiria, qualsiasi cosa di Jordan Peele. Quando è finalmente tornata in studio a Londra, stavolta con Dave Bayley dei Glass Animals alla produzione, Welch proiettava quei film horror sulle pareti mentre lavoravano. I riferimenti si sono riversati nella musica e anche nei video. In King, una versione da incubo di Welch spezza il collo del suo amato e vola via con un gruppo di donne fantasma che ricordano, come afferma de Wilde, “ragazze cancan morte… che si aggirano sulla terra, affrante e coraggiose”. Questo simboleggia il suo continuo ritorno al mondo, al tour, al diventare “di nuovo una persona più grande della vita”. Eppure questi anni le hanno mostrato che un’altra vita è possibile. Ricorda quando se ne stava seduta in cucina “a guardare due vecchi amici. E pensavo ‘Sono così fortunata ad avere nella mia vita persone che amo. Forse non tutto è lavoro e risultati. Devono esserci altri modi per sentirsi soddisfatta e coi piedi per terra”.

E con questo sua nipote entra nella stanza seguita dal resto della famiglia. Qualcosa mi dice che il nostro tempo è finito, mentre Florence prende in braccio il nipotino. Due giorni dopo ricevo una mail “C’è una canzone che stava per non essere inclusa nel disco” scrive “che contiene il verso ‘The creep of domesticity it both horrifies and calls to me’. Anche se la mia vita probabilmente non è adatta ai bambini sotto molti aspetti, questa idea si insinua in me in ogni caso. Quasi mi perseguita.” Per il momento è ancora Florence, ancora il re.

Intervista originale di Olivia Marks pubblicata su British Vogue il 26 aprile 2022.





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